Come diceva un intellettuale immune da virus sovversivi, «le notizie sono gli avvenimenti e gli avvenimenti non esistono senza le notizie. Una notizia sarebbe dunque ciò che un'agenzia di informazioni scrive di un fatto reale o inventato, poiché il fatto in sé non diventa tale se non attraverso la notizia che lo tiene a battesimo, e acquista la precisa importanza che la notizia – letteralmente – gli dona. Si deduce da ciò che senza agenzie non si avrebbero più notizie: per l'uomo della strada nulla più accadrebbe nel mondo... Accadono infatti sulla terra, in ogni secondo di un tempo teoricamente simultaneo, un numero immenso di nascite e morti, progetti e sconfitte, azioni e invenzioni, discorsi e “prese di coscienza”, decisioni e accidenti: ma, per il pubblico, il loro valore di “fatti” dipende da quel che decidono le agenzie. Nell'infinita congerie di ciò che accade (o non accade) nel mondo, la stampa sceglie, nottetempo, un ristretto numero di temi, li manipola, li drammatizza e, in virtù di una tacita intesa, li impone all'attenzione dei popoli e dei loro dirigenti... L'irrealtà di questo nostro secolo dipende dal fatto che la “realtà” alla quale noi ogni mattina crediamo è costruita soltanto dalla stampa e dalla radio, e spesso soltanto per loro proprio uso».

È trascorso oltre mezzo secolo da quando sono state scritte queste righe, la cui verità brucia purtroppo gli occhi, ed è facile anche solo intuire l'enorme avanzamento compiuto dai mass-media nell'ambito della fabbricazione dei fatti. Grazie alle nuove tecnologie, l'odierna produzione della realtà ha assunto una velocità e una profondità inimmaginabili fino a pochi anni orsono. Chi crea i fatti determina in un certo senso la vita quotidiana. Riesce a regolare non solo il voto degli elettori, la politica del Parlamento e le quotazioni in Borsa. Ma anche i nostri stati d'animo, le nostre preoccupazioni, e quindi alla fin fine le nostre azioni. Giacché la maggior parte delle nostre decisioni si fondano sui fatti che ci vengono riportati o propinati, ovvero su una Realtà che riesce a spostare attenzioni, a modificare gusti, ad imporre comportamenti.

Fino a che punto gli esseri umani assomigliano a quegli uccelli catturati dai bracconieri, attirati da un richiamo all'interno di un impianto floreale munito di reti pronte a scattare per intrappolare i volatili? I cittadini non oscillano continuamente fra destra e sinistra, così come i consumatori fra Coca e Pepsi? E noi, tutti noi, che coviamo nel nostro cuore desideri sovversivi, facciamo forse grande differenza? Non siamo anche noi al perenne inseguimento di una realtà i cui avvenimenti esistono solo in quanto notizie? Non riempiamo la nostra agenda di appuntamenti in base a un richiamo esterno?

Lasciamo pure perdere i presidi e quant'altro «in risposta a...», limitiamoci nell'esempio alle azioni dirette. Quali sono quelle che avvengono? Quelle che sono materialmente compiute da chi ha deciso di attaccare qui ed ora questo mondo, o quelle che vengono rese pubbliche dai mass-media e/o dai mezzi di controinformazione? In teoria non è affatto la stessa cosa, in pratica sì. Una azione che non viene resa pubblica, la cui eco non giunge alle orecchie altrui, è come se non fosse mai avvenuta. Fa testo per il nemico, ma non per l'amico né per il compagno. Questo il nemico lo sa, ne è perfettamente consapevole, ecco perché da anni ha deciso di riprendere e adottare l'insegnamento mussoliniano in proposito: oscurare il più possibile ogni atto di rivolta, tacendolo del tutto o attribuendolo ad altri fattori (guasti tecnici, racket mafiosi o quant'altro). Di fronte ad un silenzio che impedisce all'avvenimento di esistere in quanto non elevato al rango di notizia, che fare? La via più semplice è quella di rispondere al richiamo dello spettacolo, entrare nel suo impianto floreale scegliendo un logo e diffondendo veri e propri comunicati-stampa sotto forma di altisonanti rivendicazioni. In tal caso, la notizia è talmente assicurata da rendere in un certo senso superflua persino l'azione. Oggi basta vergare su un muro una scritta minacciosa, firmata col logo giusto, per ritrovarsela sbattuta in prima pagina con grande clamore.

Chi invece diffida delle pompe mediatiche si vede costretto o a sfidare perennemente un oblio alla lunga demoralizzante, o a rincorrere i mezzi di controinformazione. Ma qui si pongono immediatamente due ordini di problemi. Il primo è che la comunicazione prolunga il rischio dell'azione, cosa che non tutti sono disposti ad accettare. Il secondo è che non esiste oggi un mezzo di controinformazione in cui tutti si possano riconoscere. Internet, ad esempio, offre numerose possibilità; ma non sono pochi i compagni per niente intenzionati ad affidare l'espressione della propria rabbia reale ad uno strumento così virtuale. Quanto alle pubblicazioni cartacee, sono quasi scomparse del tutto e le poche circolanti rappresentano (imbarazzanti e strumentali presunzioni a parte) solo e soltanto chi le fa e qualcuno fra chi fa finta di leggerle.

Il risultato di tutto ciò è che le azioni dirette che oggi esistono (in quanto conosciute) sono, a nostro avviso, numericamente inferiori a quelle effettivamente realizzate. Ma questa invisibilità, inutile nasconderlo, alimenta quel certo senso di impotenza e costituisce un problema da affrontare con urgenza. Almeno da chi non si accontenta della miseria chiamata realtà, da chi non vuole ritrovarsi intrappolato in nessuna rete, da chi intende andare dove lo porta il cuore e non dove lo portano i grandi o piccoli mezzi di informazione.

Come fare per esistere senza rispondere ad alcun richiamo? Porre il problema, si auspica, è il primo passo per provare a risolverlo.

 

[19/01/14]